La Dieta Mediterranea
Di Sally Fallon e Mary G. Enig, PhD
Translation by Paola Magni
La dieta mediterranea “è caratterizzata da abbondanti quantità di prodotti vegetali (frutta, verdura, pane, altri tipi di cereali, legumi, noci e altri frutti a guscio, semi), frutta fresca al posto del dolce per concludere i pasti, olio d’oliva come principale fonte di grassi, latticini (soprattutto formaggio e yogurt), piccole o medie quantità di pesce e pollame, da zero a quattro uova alla settimana, poca carne rossa e vino consumato in modeste quantità, solitamente durante i pasti. Questa dieta è povera di grassi saturi (non più del 7-8% dell’apporto energetico complessivo), mentre i grassi totali variano da meno del 25% a più del 35% dell’apporto calorico totale in tutta la regione.”1
Questa, secondo i Despoti della nutrizione, è la dieta che dovremmo seguire per proteggerci dalle malattie croniche, soprattutto dalle cardiopatie.
Il padre di questa teoria, e il primo a descrivere la dieta mediterranea in questi termini, è stato Ancel Keys, architetto dell’ipotesi dei lipidi, secondo cui le cardiopatie sono causate dai “peggiori nemici della nostra dieta”: i grassi saturi contenuti nella carne e nei latticini.2 Keys afferma di essersi avvicinato per la prima volta alla dieta mediterranea all’inizio degli anni Cinquanta, quando era visiting professor a Oxford. Nel 1951 presiedette la prima conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) presso la sua sede principale a Roma.
“La conferenza era dedicata esclusivamente alle carenze nutrizionali. Quando mi informai sul rapporto fra l’alimentazione e la nuova epidemia di cardiopatie coronariche, Gino Bergami, professore di fisiologia all’Università di Napoli, disse che in quella città le malattie cardiache non costituivano un problema.”
Il dott. Keys tornò a Oxford dove, sottopagato come ogni visiting professor, condivise con la moglie i disagi di una casa non riscaldata e di un vero e proprio “razionamento dei viveri”. A un certo punto, però, ebbe la brillante idea di recarsi a Napoli, la città del sole, per verificare le affermazioni del professor Bergami. Qui giunto scoprì le trattorie, dove poté gustare “pasta condita molto semplicemente e pizza margherita”. Keys sostiene di avere scoperto che a Napoli gli infarti erano effettivamente rari, “fatta eccezione per la ristretta cerchia delle classi più ricche, la cui alimentazione era diversa rispetto a quella del resto della popolazione: mangiavano carne ogni giorno anziché ogni una o due settimane”. Sua moglie si divertì a misurare i livelli di colesterolo nel sangue “e si rese conto che erano molto bassi, tranne fra i soci del Rotary Club”. Dopo questa meticolosa ricerca, Keys giunse alla conclusione che “apparentemente esisteva un’associazione fra alimentazione, colesterolo ematico e cardiopatie coronariche”.
“Il nucleo di ciò che oggi consideriamo la dieta mediterranea è prevalentemente vegetariano”, riferisce Keys. “Pasta variamente condita, insalate con una spruzzata di olio d’oliva, tutti i tipi di verdura di stagione e spesso formaggio, il tutto completato da frutta e in molti casi accompagnato da un bicchiere di vino.”
All’inizio, le teorie rivoluzionarie del dottor Keys furono accolte con scarso interesse. Tuttavia, egli si imbatté in un ascoltatore attento nel 1952, quando presentò le sue ipotesi a un ristretto gruppo di professionisti presso il Mount Sinai Hospital di New York. Le sue tesi convinsero Fred Epstein, che cominciò a diffondere il messaggio “con effetti considerevoli sia in Europa che in America”.
In seguito, Keys pubblicò il celebre “Studio dei sette paesi”3, in cui sosteneva l’esistenza di un rapporto fra l’elevata incidenza delle cardiopatie coronariche e il consumo di grassi saturi in sette paesi. Riuscì a ottenere questo risultato scegliendo paesi caratterizzati sia da un elevato consumo di grassi saturi, sia da un’elevata incidenza delle malattie cardiache, e ignorando invece i paesi con lo stesso tipo di alimentazione ma con una scarsa incidenza di patologie coronariche.4
Fin dalla pubblicazione della “ricerca” di Keys, la dieta mediterranea (almeno nella sua accezione teorica) è diventata parte integrante delle direttive del governo americano. La USDA ha immortalato il nostalgico ricordo dei piatti serviti dalle trattorie nelle assolate strade napoletane nella celebre piramide alimentare, basata su grandi quantità di pane bianco e pasta conditi da un abbondante strato di frutta e verdura. A questa pizza di forma bizzarra si aggiungono qualche goccia di olio d’oliva e una spolveratina di formaggio, una o due acciughe, un pizzico di zucchero et voilà! ecco la soluzione al dilagare delle malattie croniche.
Malgrado questa piramide alimentare sia stata adottata in tutto il mondo, le malattie croniche continuano a dilagare, ma Keys, quanto a lui, se l’è cavata piuttosto bene. Nel 1993, dopo l’intervento conclusivo di Fred Epstein per la presentazione internazionale dello Studio dei sette paesi a Fukuoka, in Giappone, e dopo la quarta conferenza annuale tenuta da Ancel Keys alla Convenzione dell’American Heart Association, il professore fu letteralmente inondato dalle richieste di interviste e di consulenze. “Nel maggio 1993, un gruppo di giornalisti di una rivista americana venne fino a casa nostra a Minnelea, nel Minnesota, portandosi dietro un fotografo californiano per immortalare la scena mentre io parlavo della dieta mediterranea.”
Il dottor Keys non è più costretto a svernare nel freddo Minnesota, perché può rifugiarsi nella sua seconda casa nell’Italia meridionale. Tuttavia, le sue vacanze a Napoli gli riservano momenti dolorosi, quando osserva il disgraziato declino della dieta mediterranea. “I ristoranti sono sempre più frequentati, ma i piatti che servono in genere si discostano parecchio dalla tradizione mediterranea… Ogni pietanza è appesantita da burro, margarina o carne trita. È raro che come dessert venga servita solo frutta: di solito si consumano torte o gelati. Anche se i ristoranti italiani si vantano della salubrità della loro cucina tipica mediterranea, in realtà ne servono una pessima imitazione.” Keys non ci dice se la sua recente prosperità, che gli consente di pranzare in ristoranti esclusivi anziché in modesti locali con i tavolini sui marciapiedi, gli abbia fatto abbandonare il regime monastico a base di “insalate con una spruzzata di olio d’oliva” e frutta fresca. Dev’essere veramente penoso osservare i raffinati palati italiani banchettare a base di pessime imitazioni della cucina nazionale come gli spaghetti alla carbonara e i saltimbocca alla romana, specialmente per uno votato al sacrificio in virtù della santità alimentare.
Ma quella del missionario non è una vita facile. No, è un cammino solitario, costellato di delusioni. Immaginate i tormentosi dilemmi notturni del dott. Perez-Llamas e dei suoi colleghi, che avevano intrapreso uno studio delle abitudini alimentari degli adolescenti nella regione di Murcia, nella Spagna sudorientale.5 Questi figli del Mediterraneo seguivano un’alimentazione “equilibrata”, ricca di frutta e verdura? Niente affatto. I ragazzacci consumavano soprattutto salsicce! “I risultati indicano un consumo estremamente ridotto di verdura, alcune carenze relative a latte e frutta e un apporto eccessivo di grassi… mentre il consumo di pesce e di legumi rilevato nel nostro studio è insufficiente.”
Ahimè, sospirava il dott. Perez-Llamas, “lo studio mostra che, pur essendo quella di Murcia una regione tipicamente mediterranea, le caratteristiche dell’alimentazione degli adolescenti si discostano notevolmente, per certi aspetti, dalle abitudini alimentari della dieta mediterranea tipica”.
Il dott. Perez-Llamas propose di rimediare a questi peccati alimentari con una moderna versione dell’Inquisizione spagnola: “… gli adolescenti e le rispettive madri hanno ricevuto una serie di consigli su quali cibi scegliere. L’uso delle porzioni spagnole per i sei gruppi di alimenti di base si è dimostrato un metodo di grande utilità per diffondere i principi di un’alimentazione equilibrata nella popolazione spagnola”.
Nel 1994 un altro gruppo di guru dell’alimentazione, capitanato dal dottor Alberti-Fidanza, si recò in pellegrinaggio per studiare la popolazione anziana nelle campagne di Crevalcore e Montegiorgio, due delle aree incluse da Keys nel suo Studio dei sette paesi.6 La vecchia generazione, però, aveva ceduto all’eresia! Non praticava più il puritanesimo alimentare che Keys sosteneva di avere osservato trent’anni prima. “In entrambe le aree, ma soprattutto a Montegiorgio, i soggetti studiati hanno progressivamente abbandonato la dieta mediterranea tradizionale.”
La domanda che i convertiti alla dieta mediterranea non si sono ancora posti è questa: ma la dieta priva di grassi, cosiddetta “mediterranea” osservata nel dopoguerra era la vera dieta mediterranea? Non era invece una delle ultime vestigia delle privazioni causate da quasi un decennio di conflitti? Gli abitanti di Crevalcore e di Montegiorgio stavano abbandonando la dieta mediterranea tradizionale, o non vi stavano piuttosto ritornando? E se Keys non aveva notato quanto grasso e quanta carne mangiavano gli italiani all’inizio degli anni Cinquanta era perché gli italiani non avevano mai fatto nulla di così vergognoso, o perché all’epoca il professore era troppo povero per potersi permettere più di una pizza margherita in una trattoria senza pretese?
Recipes of All Nations7 (Ricette da tutti i paesi) fu pubblicato nel 1935, quasi vent’anni prima della proclamazione della nuova religione alimentare alle masse degli oppressi. Prendiamo ad esempio la descrizione dell’alimentazione in Sardegna. I cereali – pane, pasta, polenta – fanno senz’altro parte della dieta, ma sono consumati in modi estremamente interessanti. “Uno dei sistemi preferiti per preparare la pasta corta è cuocerla nel grasso d’agnello o di maiale… insieme a pezzettini di agnello o di maiale, pomodori a cubetti, aglio tritato e cagliata, il tutto con poca acqua e sale e inumidito con un po’ di brodo di selvaggina, quando ce n’è.” Gli gnocchi vengono conditi con zafferano e “serviti con sugo di pomodoro o di carne e formaggio pecorino”. Un piatto insipido come la polenta viene ravvivato da “carne di maiale salata macinata, tocchetti di salsiccia e formaggio grattugiato”. La favata si prepara con “pezzetti di maiale salato tagliati grossolanamente, osso di prosciutto, speciali salsicce fatte in casa, una manciata di fave secche, finocchietto selvatico e altre erbe e poca acqua”.
Niente di particolarmente magro, finora. Ma forse Keys e i suoi accoliti avevano ragione quando affermavano che nell’area del Mediterraneo si consuma poca carne. Leggete qui: “I sardi sono grandi mangiatori di carne, ma i loro metodi di cottura dei vari tipi di carne sono semplici, anzi, quasi primitivi”. Come la maggior parte degli italiani, i sardi preferiscono le bestie giovani (agnello, capretto o maialino da latte) in genere arrostite su un fuoco di legna. “La carne viene infine fatta dorare bagnandola continuamente con il grasso caldo…”. I maialini “sono così teneri che si possono mangiare persino la cotenna, le orecchie e tutto il resto”.
In Corsica, l’alimentazione “non ha subito alcuna influenza esterna…” Nessun nuovo catechismo, nessun apostolo dell’alimentazione da queste parti. Così i corsi possono godersi senza sensi di colpa il seguente ben di Dio: tutti i tipi di pesce, comprese piccole aragoste, seppie e molluschi, pasta d’acciughe con l’aggiunta di fichi, baccalà, carne di manzo arrostita nello strutto, striscioline di filetto di capra salate ed essiccate al sole, castagne con polenta e panna servite con diversi tipi di carne o di sanguinaccio.
Anche una nuova e bellissima enciclopedia delle pietanze tradizionali, You Eat What You Are8 (Mangi quello che sei) dipinge un quadro della cucina italiana piuttosto diverso da quello proclamato nel vangelo secondo Ancel Keys. L’autrice, Thelma Barer-Stein, osserva che i grassi preferiti in cucina sono il burro nel nord Italia, lo strutto al centro e l’olio d’oliva al sud. Il maiale, però, si consuma in tutta la penisola, soprattutto sotto forma di salumi (alimento che chiunque, tranne un visiting professor americano, sarebbe in grado di identificare come la quintessenza della gastronomia italiana). Salame, mortadella e zampone: la cucina italiana non esisterebbe senza di loro. I salumi sono un modo per rendere gustose anche le interiora dell’animale, come nella salsiccia “pezzente”, una specialità lucana a base di ritagli, fegato e polmone di suino. I cuochi fanno uso di molta pancetta e i bambini di talune regioni adorano le “frittole”, croccanti pezzettini di cotenna ricchi di vitamina D.
Gli ebrei italiani confezionavano salsicce e salumi, pur senza fare uso di maiale. Nel suo libro The Classic Cuisine of the Italian Jews9 (Cucina classica degli ebrei italiani), la scrittrice Edda Servi Machlin ricorda la carne secca di suo padre e le “salsicce de minao” (salsicce di manzo). “Erano due specialità conosciute e apprezzate in tutte le comunità ebraiche d’Italia.” Questi salumi si preparavano alla fine dell’inverno e si appendevano a essiccare all’aria “davanti a una finestra aperta rivolta a nord” per un periodo da quattro a sei settimane. Tra le altre specialità vi erano la lingua salmistrata, con un profumo “da risuscitare i morti”, e il salame d’oca (vedere Food Feature, pagina 48). Queste erano tutte carni fermentate, che si consumavano crude.
Riguardo alle uova, la Machlin racconta: “Le uova sono sempre state uno dei cibi meno cari e più sostanziosi. Per noi erano non solo un alimento base, ma anche un rimedio per quasi tutti i malanni, reali o immaginari, proprio come oggi le vitamine per molti di noi. Per ricavarne i massimi benefici, le uova dovevano essere ingerite crude e freschissime, anzi, addirittura tiepide, prelevate direttamente dal nido della gallina. Quindi, ovviamente, ogni famiglia aveva un piccolo pollaio in giardino”.
L’Italia produce tanti formaggi quanto la Francia, fra cui due dei migliori in assoluto: il parmigiano e il gorgonzola, entrambi da latte intero e con un elevato tenore di grassi. I formaggi in Italia non servono solo per farcire la pizza: si usano nel ripieno di fagottini e calzoni, nei piatti di verdure, nelle insalate e nei panini. Una pietanza molto diffusa si prepara con fettine di mozzarella racchiuse in due fette di pane a cassetta, impanate e fritte in abbondante olio.
Gli italiani sono maestri nella preparazione di qualunque tipo di carne, dalle animelle allo zampetto di maiale. Le carni magre sono accompagnate da sughi a base di panna o farcite con prosciutto e ricotta.
Negli antipasti di mare, nelle zuppe di pesce e negli umidi entrano pesci, molluschi e crostacei di ogni genere. I Despoti della nutrizione, presi come sono dall’entusiasmo per la loro piramide alimentare, sembrano essersi persi l’esperienza mistica costituita dai calamari, tagliati ad anelli, immersi nella pastella, fritti e serviti a montagne su grandi vassoi: uno spuntino sano, a condizione di usare grassi tradizionali per la frittura anziché oli vegetali parzialmente idrogenati. A Napoli, dove Keys aveva sentito dire che le cardiopatie erano rare, gli spuntini a base di pesce fresco erano diffusi quanto la pizza, e le ostriche si potevano consumare in comode confezioni da asporto.
È vero che gli italiani amano le verdure, ma perché sanno come prepararle per renderle gustose. Sanno che le insalate sono più appetitose se condite con olio d’oliva e del buon aceto di vino invecchiato, e che le verdure cotte sprigionano tutto il loro aroma se preparate con strutto, burro o panna.
Gli italiani in genere non mangiano uova a colazione, ma si rifanno nel corso della giornata. Le uova infatti si usano nei sughi più ricchi e nelle creme dolci, come lo zabaione. Alcune minestre si servono accompagnate da un uovo in camicia.
E che dire del gelato? È forse qualcosa di nuovo nell’alimentazione degli italiani, o una moda importata dall’America? Ma neanche per sogno. “La prima gelateria fu aperta in Toscana nel 1500, ma si ritiene che il merito di avere diffuso il gelato nel Nordamerica spetti agli abitanti del Meridione d’Italia.” E nessuno usa il gelato con maggiore creatività degli italiani, dallo spumone napoletano alla cassata, decorata in vari modi, ai semifreddi, “un tipo di dolce simile al gelato, morbido e delicato, in molti gusti diversi”. È vero comunque che gli italiani a volte consumano il gelato accompagnandolo con frutta fresca.
Come risulta ovvio a chiunque sia mai stato in Italia o abbia pranzato in un ristorante italiano, quegli apostati degli italiani sono ritornati al paganesimo alimentare dei loro antenati, se mai l’hanno abbandonato. Per cui, l’ortodossia nutrizionista ha recentemente preso a modello l’alimentazione dei greci come la più virtuosa delle gastronomie mediterranee politicamente corrette, descrivendola come composta principalmente da olio d’oliva, pane e pomodori.
Dal 1980 al 1984, Rosemary Barron ha diretto una scuola di cucina a Creta e ha vissuto per molti mesi sull’isola sin dal 1963, quando partecipò a una serie di scavi archeologici. Nel 1991 ha pubblicato Flavors of Greece (Sapori dalla Grecia), che ha ottenuto un premio “Editor’s Choice” nella sezione Libri del New York Times.
È vero, riferisce l’autrice, che i greci mangiano molto pane. Nelle campagne, il pane per la famiglia si prepara ancora in molti casi con farina macinata a pietra e si cuoce nel forno a legna. Nei negozi si trova il pane bianco, ma esiste ancora una lunga e radicata tradizione di pani integrali di tutti i tipi, compreso il filone “del pastore” al lievito naturale, confezionato con crusca di frumento e di avena e farina di frumento integrale. Molti tipi di pane vengono biscottati e si consumano in genere a colazione.
Rosemary calcola che i cretesi consumano probabilmente qualche chilo di formaggio alla settimana, ottenendo solo dal grasso di quest’ultimo circa 600 calorie al giorno, o il 25% delle calorie in una dieta di 2400 calorie. Dal momento che il grasso del formaggio di capra è saturo quasi per il 70%, 250 g di formaggio al giorno fornirebbero circa il 18% delle calorie sotto forma di grassi saturi, più del doppio rispetto alla quantità considerata accettabile dai guru dell’alimentazione.
Fra le altre fonti di grassi saturi si possono annoverare lo yogurt, il latte e piccole quantità di burro, utilizzato nei dolci. L’olio d’oliva è il grasso più usato in cucina e per condire le insalate. Si consuma in generose quantità e fornisce parecchie calorie in più sotto forma di grasso, in parte saturo.
L’alimentazione dei cretesi contiene anche molti grassi saturi derivanti dalla carne. In primavera si consumano agnello o capretto, mentre la capra si mangia tutto l’anno. Il maiale compare spesso in tavola, sotto forma di braciole o arrosto, e le galline vecchie vengono servite lessate. Durante la stagione propizia, il tipo di carne più consumato in assoluto è la cacciagione: uccelli, conigli e lepri. Gli uccellini arrostiti e avvolti in foglie di vite sono un piatto molto diffuso. Piccole salsicce affumicate vengono servite come antipasto o per accompagnare altre pietanze.
Il consumo di uova è mediamente di dieci la settimana, utilizzate come ingredienti nelle frittate, nelle torte, negli sformati e nell’avgolemono, una salsa a base di uova e limone. Rosemary ricorda la sua sorpresa la prima volta che ruppe un uovo cretese: il tuorlo era color arancio scuro, così vivo che persino le uova strapazzate che preparò erano arancione!
I cretesi amano i cibi insoliti, come le lumache e le frattaglie: rognoni, fegato e milza. Le uova di pesce, considerate una prelibatezza, si possono consumare sotto forma di piccole frittelle o di taramosalata, una pasta spalmabile servita come aperitivo.
Le popolazioni costiere consumano pesce fresco tutti i giorni, fra cui molluschi, ricci di mare, polpo, calamari e seppie. Fino a non molto tempo fa, l’unico mezzo di trasporto era l’asino e i frigoriferi non esistevano. Perciò, a meno di non vivere vicino al mare, era difficile poter consumare pesce fresco. I cretesi avevano perciò messo a punto diversi metodi per conservare il pesce mediante salatura o affumicatura, nonché per confezionare salse dal sapore deciso con pesce fermentato. I pesci più piccoli venivano messi in vasi di terracotta e coperti di erbe aromatiche e olio d’oliva. Gli asini poi trasportavano il tutto su per le montagne dell’entroterra.
Tutti questi alimenti di origine animale, compresi i tuorli d’uovo arancione, sono ottime fonti di vitamina A e D, le vitamine liposolubili che Weston Price scoprì essere essenziali per la bellezza e la salute. Quando si abbandonano i cibi ricchi di questi attivatori liposolubili, le generazioni successive hanno visi più stretti e sono più soggetti alla carie dentale e alle malattie. Gli individui inoltre sono meno belli e meno robusti. La presenza di adeguate quantità di vitamina A e D nell’alimentazione dei cretesi è probabilmente il fattore che protegge tutte le popolazioni del Mediterraneo dalle grandi quantità di pane o pasta e dal consumo frequente di dolci.
A Creta, come nel resto della Grecia, si cucina in modo semplice. Anziché preparare il brodo, i cretesi cuociono carne e pesce interi, con ossa e lische. Addirittura, tradizionalmente la carne e il pesce non erano mai venduti senza ossa o lische, poiché queste costituivano una prova della freschezza del prodotto.
Ancora oggi, a Creta, gran parte del cibo viene cotto in forni comuni: per questo, in genere le pietanze si preparano in basse teglie trasportabili fino ai forni. Il pesce pregiato e i migliori tagli di carne si arrostiscono sulla griglia all’aperto.
Una fantastica varietà di vegetali freschi, dai carciofi alle melanzane, dalla frutta succulenta alle mandorle, ai pistacchi, alle lenticchie e ai ceci contribuisce a rendere deliziosa questa cucina mediterranea. La bevanda preferita è il vino fatto in casa.
In quasi tutta la Grecia, il pasto principale è il pranzo, consumato a casa e composto da una portata principale, in genere uno stufato o un pasticcio a base di carne, accompagnato da verdure, insalata, pane e formaggio. Quindi, si chiude bottega fino alle 5 del pomeriggio. Rispetto alle nostre abitudini, la cena ha luogo piuttosto tardi ed è preceduta da qualche ora di mezedes (stuzzichini) consumati al bar o a casa insieme a un aperitivo. I mezedes possono essere pezzettini di cetriolo, pomodoro, formaggio, olive, pesce o fette di salame. In una scena tipica dei paesini greci, gli uomini trascorrono un paio d’ore seduti al bar, mentre le donne si siedono fuori dalle case a fare due chiacchiere. Verso le 10 di sera, gli uomini tornano a casa per cena. I dolci come il gelato e le paste si consumano nei caffè quando si esce insieme a tutta la famiglia, o a casa nei giorni di festa.
L’Unione Europea è un ambiente propizio per i fanatici del puritanesimo alimentare, e di conseguenza preme affinché i greci si conformino alle abitudini del resto d’Europa. Basta con i pranzi che non finiscono mai e con gli antipasti gustati senza fretta: la Grecia deve seguire gli stessi orari del resto dell’Unione e mangiare le stesse cose, ovvero i formaggi light prodotti in serie, il pane bianco, la carne magra confezionata senza osso, i prodotti da forno industriali a base di oli vegetali e le bibite dolcificate. Sono questi alimenti, e non quelli ricchi di grassi animali, la vera parodia della moderna dieta mediterranea, e queste porcherie si vendono molto più facilmente se i medici dicono che fanno meglio alla salute che non i cibi tradizionali dei propri antenati.
La popolazione greca ha un’aspettativa di vita tra le più alte del mondo, ma questo stato di cose potrebbe non durare se adottasse la versione della dieta mediterranea propugnata dal professore americano, che in realtà accelera la transizione verso i cibi prodotti industrialmente.
“Purtroppo”, scrive Keys, “i cambiamenti in corso nei paesi del Mediterraneo tendono a distruggere le virtù salutari della dieta che abbiamo descritto quarant’anni fa, ed è necessario impegnarsi per invertire la tendenza. L’educazione è importante, e dovremmo concentrarci sulla professione medica e sulle scuole. Non è sufficiente che i medici misurino il livello di colesterolo e consiglino ai pazienti con i valori più elevati di evitare il burro e la carne grassa: bisognerebbe insistere sulla prevenzione rivolgendosi all’opinione pubblica in generale.”
E allora via libera ai seminari, nelle più belle località marine. Il secondo congresso annuale, racconta Keys, si svolse a Pioppi, un paese sulla costa tirrenica, “a circa quattro chilometri dalla nostra casa in Italia”. Sponsorizzati dalla International Society and Federation of Cardiology, questi “ritiri” hanno attirato “circa 800 medici provenienti da 30 città in 22 paesi.” Oh, quanti sacrifici si fanno in nome della scienza!
E che cosa mangiano questi eminenti scienziati quando si riuniscono in occasione del loro seminario in Italia? Pasta in bianco e carne magra? Limoni e qualche foglia di insalata… nella patria dello spumone?
Il più grave dei sette peccati mortali non è l’ingordigia ma la superbia, una superbia talmente accecante da giustificare la presunzione di imporre a un’intera popolazione, a cominciare dai bambini, la propria ossessione patologica per la rinuncia. “In questi seminari” commenta Keys, “poniamo l’accento sulla dieta mediterranea e sulla sua utilità nel controllare la concentrazione di colesterolo ematico e nel ridurre il conseguente rischio di cardiopatia coronarica… Sono convinto che sia importante introdurre queste nozioni fin dalla scuola elementare… Il nostro difficile compito è inventare un sistema per indurre gli scolari a dire ai genitori di mangiare secondo i dettami della dieta mediterranea. Come minimo, dovremmo aiutare i bambini a liberarsi di alcune idee stupide e convincerli che la carne e i latticini grassi non rendono i maschi più robusti, né le femmine più carine.”10
Bibliografia
- W C Willett, et al, “Mediterranean diet pyramid: a cultural model for healthy eating”, American Journal of Clinical Nutrition, giugno 1995 61(6S):1402S-1406S
- Ancel Keys, “Mediterranean diet and public health: personal reflections” American Journal of Clinical Nutrition 1995 61(suppl):1321S-1323S
- Ancel Keys, “Coronary heart disease in seven countries”, Circulation, 1970 41, (Suppl. 1)
- L’esperto di statistica Russell H. Smith ha fatto le seguenti osservazioni sullo Studio dei sette paesi: “Lo Studio dei sette paesi di Ancel Keys, citato comunemente come prova del fatto che l’alimentazione degli americani è aterogena, è stato spesso definito ‘una pietra miliare’… La metodologia impiegata per la valutazione della dieta delle varie coorti denotava una notevole incoerenza, ed era decisamente sospetta. Inoltre, un attento esame dei tassi di mortalità e della loro associazione con l’alimentazione rivela una serie infinita di discrepanze e di contraddizioni… È quasi inconcepibile che lo Studio dei sette paesi sia stato condotto con una tale mancanza di rigore scientifico. Mi sconcerta inoltre che la coalizione NHLBI/AHA abbia ignorato una simile negligenza nelle sue numerose ‘recensioni deliranti’ dello studio… In sintesi, il rapporto fra alimentazione e cardiopatie coronariche rilevato nello Studio dei sette paesi non può essere preso sul serio dagli scienziati dotati di obiettività e di senso critico.” Diet, Blood Cholesterol and Coronary Heart Disease: A Critical Review of the Literature, Volume 2, novembre 1981, pagg. 4-47 – 4-49
- F Perez-Llamas, et al, “Estimates of food intake and dietary habits in a random sample of adolescents in southeast Spain”, Journal of Human Nutrition and Diet, dicembre 1996 9:(6):463-471
- A Alberti-Fidanza, et al, “Dietary studies on two rural Italian population groups of the Seven Countries Study. 1. Food and nutrient intake at the thirty-first year follow-up in 1991”, European Journal of Clinical Nutrition, febbraio 1994 48(2)85-91
- Recipes of All Nations, Wm H. Wise & Co, New York, 1935, pagg. 779-781
- Thelma Barer-Stein, PhD, You Eat What You Are: People, Culture and Food Traditions, Firefly Books, Willowdale, Ontario, Canada 1999
- Edda Servi Machlin, The Classic Cuisine of Italian Jews, Dodd, Mead and Company, New York, 1981, pagg. 83-87
- Keys, op cit, 1995
Maria Letizia Petroni says
Parmesan cheese is made from partly skimmed milk, not from full-fat milk as stated in the article. It contains less than 20 g fat of saturated fat/100 g (of which one-third stearic acid, which is desaturated to the monounsaturated oleic acid in the liver), remaining being mono-and polyunsaturated fats.
Il Parmigiano è costituito da latte parzialmente decretato per affioratura , non da latte intero come detto nell’articolo. Contiene meno di 20 grammi di acidi grassi saturi/100 g (la maggior parte acido stearico, che viene denaturato nel fegato in acido oleico monoinsaturo), i restanti sono acidi grassi mono- e polinsaturi.